(it-fr) Aubenas, Francia: Full Moon / Black Out: primo tentativo (maggio 2020)

Aubenas, Francia: Full Moon / Black Out: primo tentativo (maggio 2020)

Rivendicazione di un’attacco incendiario contro un trasformatore elettrico

Fra di noi, ci sono a volte dei dubbi. Certi, certe, ne hanno pochi. Altri/e, nessuno.

Assumeremo le conseguenze di un black out a grande scala? I morti, il caos che questo provocherebbe? Saremmo noi, noi stessi/e, capaci di sopravvivere ad una tale trasformazione del mondo? Forse no.

Ma è ancora più insopportabile lasciare il mondo così com’è, sottomettersi al ricatto per cui sarebbe ancora peggio se le istituzioni umane e tecnologiche non fossero qua a dirigere le notre vite al posto nostro, che accettare di prendere dei rischi agendo.

Non si tratta di far tacere i nostri eventuali dubbi. Si tratta di riuscire ad agire lo stesso. Di capire che se le nostre azioni hanno degli impatti, provocano senza dubbio delle ferite a degli esseri che non abbiamo preso di mira, la nostra passività è altrettanto assassina.

Che i famosi ospedali, formicai in cemento dove si ammucchiano i corpi devastati e i buoni sentimenti, che bisognerebbe proteggere ad ogni costo perché permettono di «salvare delle vite», hanno bisogno per funzionare di un rifornimento di elettricità e di altre materie prime, che, loro, senza dubbio uccidono.

La pace tecnologica data in flebo alle masse è una menzogna. Il mondo connesso si costruisce su una fossa comune e si nutre di morti e di distruzione. E le belle immagini di tablet nelle scuole e nelle case di riposo non vi cambieranno nulla. Gli aperitivi su Skype hanno il gusto del sangue. I dubbi che possiamo provare sono le tracce della mascherata umanista e statale che ci racconta che questo sistema ciò è indispensabile. Che tutto va nel modo migliore, nel migliore dei mondi, e che sarebbe intollerabile e irresponsabile che degli individui agiscano in maniera egoista, nuocendo a quello che è comune. Non è il momento di un dibatito sull’egoismo. La nostra volontà è spezzare il mito secondo il quale il fatto di lasciar fare non ha conseguanze. Quello che è comune non ci interessa per niente, ma è giusto menzionare che esso si limita ad una certa parte della popolazione umana, di certo senza toccare l’insieme degli esseri che vivono su questo grosso sasso che chiamiamo Terra.

Ci sembrerà sempre preferibile agire con degli eventuali dubbi, che lasciare questi ultimi nutrire un sentimento d’impotenza.

Perché dalla nostra impotenza sorgerebbe la nostra morte, e che quello che vogliamo al di sopra di tutto è vivere. Vivere restituendo i colpi che ci vengono portati. Vivere senza la mediazione umana e tecnologica, che si impone fra di noi e il resto del mondo. E quando diventiamo coscienti/e del nostro condizionamento, quando pensiamo a tutto l’orrore che questo mondo genera, i nostri dubbi sono poca cosa.

Abbiamo attaccato la rete elettrica, perché senza di essa, oggi, questa civiltà crolla. Non desideriamo un ritorno ad un qualche tempo passato. Non abbiamo illusioni sul fatto che delle civiltà sono state costruite senza elettricità. Tutto quello che sappiamo è che questa ne è diventata troppo dipendente per poterne fare a meno. E che questo è uno dei suoi punti deboli. E anche se ne siamo figli/e, e non può essere diversamente, lottiamo per uccidere i germi che essa ha potuto lasciare in noi. Lottiamo contro il nostro addomesticamento, contro la nostra sottomissione alle norme, contro le nostre vigliaccherie e il nostro amore per la sicurezza.

Ma utilizziamo alcuni degli strumenti che essa ci procura. Perché non è più possibile comunicare fra ribelli facendo dei segnali di fumo, e ci interessa ancora mettere delle parole sui nostri atti, che possano toccare quelli/e che vogliono leggerle, e che anch’esse possano essere una componente non trascurabile dei nostri attacchi contro la docilità, le persone che la creano e quelle che la difendono. Numerosi sono gli atti di distruzione, attorno a noi, in questi ultimi tempi.

Grazie alle mani coraggiose che rifuitano di essere confinate, di questi tempi in cui perfino una parte del movimento «radicale» vorrebbe vederci rinchiusi in casa, perché è più importante essere «safe» che cercare di essere liberi/e.

Grazie a quelle e quelli per cui scrivere ha un senso, perché è necassario condividere le nostre riflessioni, affinché i nostri atti risuonino con le intenzioni che ci animano. Perché il fatto di leggere dei testi di chiamata all’attaco, delle analisi taglienti o delle rivendicazioni partecipa a modellare le nostre idee, a concepire delle nuove strategie per attaccare. Questo è d’altronde il motivo per cui desideriamo inscrivere il nostro attacco nella chiamata al conflitto lanciata dal testo A maggio fai quel che ti piace: una chiamata al conflitto, di cui abbiamo fatto nostre le numerose questioni, alle quali abbiamo voluto, con il notro attacco, portare degli elementi di risposta. Perché, se ne dica quel che si vuole, questi scritti escono dall’orrore dematerializzato di Internet, per nutrire dibattiti, riflessioni, e dare forza ai/alle viventi.

Si fanno dei tentativi, a volte senza nemmeno sapere esattamente quello che si va a toccare. La sola cosa che sappiamo è che, attraverso i nostri atti, le cose non resteranno intatte.

Abbiamo scelto di attaccare un trasformatore elettrico, senza sapere quali danni avremmo provocato, ma sperando in dei bei archi elettrici, molto fumo e qualche luce in meno, per lasciare il suo spazio alla luna piena. Non abbiamo bisogno d’altro per rischiararci e le luci artificiali sono un oltraggio alla bellezza della notte.

Mentre ci avvicinavamo al sito, nella zona di Aubenas, portavamo in noi il ricordo immaginario di tutte le anime tormentate che si sono ribellate contro le civiltà che cercavano di distruggere le loro vite selvagge. Abbiamo acceso sei incendi, principalmente su cavi riuniti sotto delle lastre di cemento, rumorose ma facili da sollevare. Abbiamo fatto attenzione a non toccare le strutture metalliche, e a parte un leggero disagio, una sensazione di ronzio dentro il cranio, non ci è successo nulla di grave a passeggiare in questo punto d’arrivo di tre linee ad alta tensione. Quando abbiamo lasciato il sito, i nostri corpi tesi per l’adrenalina e dei sorrisi sotto i copricollo, i fuochi avevano preso. Sfortunatamente, le luci artificiali che ci circondavano non si sono spente. Non sapremo probabilmente mai quali sono i danni causati alla rete elettrica, perché i media non ne hanno parlato. Una ragione in più per farlo noi, per non lasciare loro l’opportunità di passare sotto silenzio il nostro operato. Presumubilmente, né la città, né le valli attorno hanno subito danni degni di nota. Tanto peggio. Si trattava di un tentativo. Il solo modo concreto per sapere dov’è opportuno attaccare, è provare ovunque. Non dubitiamo del fatto che ci saranno altri tentativi.

I nostri cuori bruciano dalla voglia di spegnere una volta per tutte questo mostro-macchina. Perché l’odio ed il disgusto per la massa umana civilizzata trasudano da tutti i pori delle nostre pelli. Perché le sole luci che ci piacciono, di notte, sono quelle delle fiamme e dei riflessi della luna.

Dei/delle Rampolli/e del Disastro

[Rivendicazione in francese pubblicata in attaque.noblogs.org].

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Aubenas (Ardèche), France : Full Moon / Black Out : Première tentative (mai 2020)

Revendiqué d’une attaque incendiaire contre un transformateur électrique

Parmi nous, il y a parfois du doute. Certain, certaine, en ont un peu. D’autres, pas du tout.

Assumerons nous les conséquences d’une coupure d’électricité à grande échelle ? Les morts, le chaos que cela engendrerait ? Serions nous, nous-même, en mesure de survivre à une telle transformation du monde ? Peut être pas.

Mais il est plus insupportable de laisser le monde tel qu’il est, de ce soumettre au chantage selon lequel ça serait encore pire si les institutions humaines et technologiques n’étaient pas là pour diriger nos vies à notre place, que d’accepter de prendre des risques en agissant.

Il ne s’agit pas de faire taire nos éventuels doutes. Il s’agit d’arriver à agir quand même. De prendre conscience que si nos actes ont des impacts, causent sans doutes des blessures à des êtres que nous n’avons pas visés, notre passivité est tout aussi meurtrière.

Que les fameux hôpitaux, fourmilières de béton où s’entassent les corps ravagés et les bons sentiments, qu’il faudrait protéger à tous prix parce qu’ils permettent de « sauver des vies », ont besoin pour fonctionner d’un approvisionnement en électricité et autres matières premières, qui eux, à n’en pas douter, tuent.

La paix technologique perfusée en masse est un mensonge. Le monde connecté se construit sur un charnier, et se nourrit de morts et de destruction. Et les belles images de tablettes dans les écoles et les ephad n’y changeront rien. Les apéros sur skype ont le goût du sang. Les doutes que l’on peut ressentir, sont les traces de la mascarade humaniste et étatique qui nous raconte que ce système nous est indispensable. Que tout va pour le mieux dans le meilleur des mondes possibles, et qu’il serait intolérable et irresponsable que des individus agissent égoïstement et nuisent au commun. L’heure n’est pas au débat sur l’égoïsme. Notre volonté est de briser le mythe selon lequel le laisser faire n’a pas de conséquences. Le commun ne nous intéresse guère, mais il reste juste de mentionner que celui dont il est question se limite à une certaine catégorie de la population humaine, et ne concerne certainement pas l’ensemble des êtres qui vivent sur ce gros caillou que l’on appelle Terre.

Il nous semblera toujours préférable d’agir avec d’éventuels doutes, que de laisser ces derniers nourrir un sentiment d’impuissance.

Parce que de notre impuissance surgirait notre mort, et que ce que nous voulons par dessus tout, c’est vivre. Vivre en rendant les coups que l’on nous porte. Vivre sans la médiation humaine et technologique, qui s’impose entre nous, et le reste du monde. Et lorsque l’on prend conscience de notre conditionnement, lorsque l’on pense à toute l’horreur qu’engendre ce monde, nos éventuels doutes font pale figure.

Nous nous sommes attaqué au réseau électrique, parce que sans lui, aujourd’hui, cette civilisation s’effondre. Nous ne souhaitons pas un retour à un temps passé quelconque. Nous n’avons pas l’illusion sur le fait que des civilisations se sont bâties sans électricité. Tout ce que nous savons, c’est que celle ci s’en est rendue trop dépendante pour pouvoir faire sans. Et que c’est là un de ces points faibles. Et bien que nous en soyons les enfants, et qu’il ne pourrait en être autrement, nous luttons pour tuer les germes qu’elle a pu laisser en nous. Nous luttons contre notre domestication, contre notre soumission aux normes, contre nos lâchetés et notre goût pour la sécurité.

Mais nous utilisons certains des outils qu’elle nous procure. Parce qu’il n’est plus possible de communiquer entre rebelles en faisant des signaux de fumée, et qu’il nous intéresse encore de poser des mots sur nos actes, qu’ils puissent toucher qui veut bien les lire, et qu’ils puissent eux aussi, être une composante non négligeable de nos attaques contre la docilité, les gens qui la crée et les gens qui la défende. Nombreux sont les actes de destruction autour de nous ces derniers temps.

Merci aux mains courageuses qui refusent d’être confinées en ces temps où même une partie du milieu « radical » voudrait nous voir rester chez nous, parce qu’il est plus important d’être safe que d’essayer d’être libre.

Merci à celles et ceux pour qui écrire a du sens, parce qu’il est nécessaire de partager nos réflexions, que nos actes résonnent avec les intentions qui nous animent. Parce que lire des textes d’appel à l’attaque, d’analyses acérées ou des revendications participe à façonner nos propres pensées, à concevoir de nouvelles stratégies pour attaquer. C’est d’ailleurs la raison pour laquelle nous souhaitons inscrire notre attaque dans l’appel au conflit lancé par le texte « En mai fais ce qui te plaît: un appel au conflit« , dont nous avons fais nôtres les nombreuses questions, et auxquelles nous avons voulu, par notre attaque, apporter des éléments de réponses. Parce que quoi qu’on en dise, ces écrits sortent de l’horreur dématérialisée d’internet, pour nourrir débats, réflexions, et donner de la force aux vivants.

On fait des tentatives, parfois sans même savoir exactement ce que l’on va toucher. La seule chose que l’on sait, c’est que de par nos actes, les choses ne resterons pas intactes.

Nous avons choisi d’attaquer un transformateur électrique, sans savoir quels dégâts nous allions occasionner, mais en espérant de beaux arcs électriques, beaucoup de fumée, et quelques lumières en moins, pour laisser la part belle à la pleine lune. Nous n’avons pas besoin de plus pour nous éclairer, et les lumières artificielles sont des outrages à la beauté de la nuit.

Nous portions en nous la mémoire fantasmée de toutes les âmes tourmentées qui se sont rebellées contre les civilisations qui tentaient de détruire leurs vies sauvages ; lorsque nous avons approché du site, dans les alentours d’Aubenas. Nous avons allumé six foyers, principalement sur des câbles rassemblés sous des dalles de béton, bruyantes mais faciles à soulever. Nous avons pris soin de ne pas toucher les structures métalliques, et hormis une légère gène, un sentiment de bourdonnement dans le crâne, il ne nous est rien arrivé de fâcheux en nous baladant dans ce terminal de trois lignes à haute tension. Quand nous avons quitté le site, nos corps tendus par l’adrénaline, et des sourires cachés sous nos caches cols, les feux avaient bien pris. Malheureusement, les lumières artificielles qui nous entouraient ne se sont pas éteintes. Nous ne sauront probablement jamais quels sont les dégâts occasionnés sur le réseau, parce que les médias n’en n’ont pas parlé. Raison de plus pour que nous le fassions, pour que nous ne leur laissions pas l’opportunité de passer sous silence nos agissements. Vraisemblablement, ni la ville ni les vallées alentours n’ont subis de dommages notables. Tant pis. Il s’agissait d’une tentative. Le seul moyen concret de savoir où il est pertinent d’attaquer, c’est d’essayer partout. Nous ne doutons pas qu’il y aura de nouvelles tentatives.

Nos cœurs brûlent d’éteindre ce monstre machine une fois pour toute. Parce que la haine et le dégoût pour la masse humaine civilisée suintent par tous les pores de nos peaux. Parce que les seules lumières que l’on aime la nuit, sont celles des flammes et des reflets de la lune.

Des Rejetons du Désastre

[Depuis attaque.noblogs.org].