(it-en-fr) Italia: Ai cuori ardenti. Testo collettivo degli imputati nell’operazione “Renata” in Trentino (18/10/2019)

https://attaque.noblogs.org/files/2019/11/coeurs-brulants-300x278.pngItalia: Ai cuori ardenti. Testo collettivo degli imputati nell’operazione “Renata” in Trentino (18/10/2019)

Qui il pdf del testo dei compagni imputati nell’operazione Renata. Sotto, la trascrizione.


Ai cuori ardenti

L’anarchico non guarda al successo, alla vittoria, alla competizione. Lotta, perché è giusto. E in qualsiasi lotta la perdita fa parte della vita. Non cambia idea perché perde e tanto meno rinuncia alla lotta successiva. Il Sistema si autoalimenta per il popolo che non lotta, non perché è invincibile. Il lavoro dell’anarchico è instillare nel popolo la rivolta, non a segmenti ma continua. Come un’onda che si ritira e poi torna. Mi chiedete se vinceremo? Mi fate la domanda sbagliata. Chiedetemi se lotteremo e vi risponderò di sì.
– Luigi Galleani

Oggi abbiamo deciso di dire la nostra sull’operazione “Renata”. In altri scritti è stata analizzata l’inchiesta, sia negli aspetti repressivi generali dello Stato, sia riguardo gli strumenti tecnologici, inquisitoriali e giuridici usati per colpire chi ancora osi battersi per qualcosa di diverso e soffi ancora sulle ali della libertà.

Abbiamo deciso di non rivolgerci alla Corte che ci giudicherà né alla solerzia dei nostri repressori. Non è l’aula di un tribunale il luogo in cui oggi scegliamo di parlare.

Vogliamo parlare in quei luoghi in cui si lotta, dove c’è ancora spirito critico, dovunque ci siano donne e uomini coscienti che tante cose vanno cambiate ora, che questo stato di cose va rivoluzionato.

Quindi parleremo dei fatti di cui siamo imputati o che sono inseriti nell’inchiesta.

Queste azioni – notturne o diurne, individuali o collettive – si inseriscono in un conflitto che va ben al di là dei fatti specifici o del territorio in cui sono collocate. Esse sono frutto di uno scontro più ampio, quello tra gli sfruttati, gli sfruttatori e chi li difende.

Di queste azioni condividiamo lo spirito, l’etica, il metodo, gli obiettivi, indipendentemente da chi le abbia compiute. Esse parlano da sole, sono comprensibile ai più, indicano una strada – quella della liberazione. Puntano il dito contro chi vive di sfruttamento e guerra, di odio e violenza, auspicano qualcosa di più, qualcosa che metta fine alle peggiori atrocità e barbarie, ma soprattutto mirano a distruggere il muro della rassegnazione, in tempi così poveri di solidarietà umana, di ribellione, di pensiero critico.

Chi in questi anni ha detto e tutt’ora dice che simili azioni non servono a nulla, che il gioco non vale la candela, che nulla cambierà, che l’essere umano ha perso in modo definitivo il senno riducendo la vita a una costante guerra fratricida, ha smesso di sognare, ha smesso di interrogarsi sui responsabili delle ingiustizie e sulle cause che hanno portato la società ad un livello morale, ambientale e materiale a dir poco inquietante. Tra le svariate cose raccontate nei faldoni, emerge che in questi anni siamo scesi molte volte in strada con caschi e bastoni contro partiti e movimenti come Lega, Casapound e Sentinelle in piedi. Abbiamo criticato in decine di volantini, manifesti e iniziative di vario tipo le loro responsabilità storiche e le loro politiche reazionarie: gruppi politici e religiosi che promuovono l’odio fra gli sfruttati, che difendono la classe padronale, che alimentano una società basata sul privilegio, sul razzismo, sul patriarcato e molto altro.

In questi tempi aridi di lotte e di scontro sociale, ci si scandalizza per le pratiche di autodifesa in strada, dimenticando, assieme al passato in cui ciò era patrimonio comune, il buon senso minimo di distinguere la violenza reazionaria da quella proletaria. Non solo ci si dimentica di quello che polizia, carabinieri, Chiesa e fascisti hanno fatto in questo Paese, ma delle violenze dell’altro ieri: di Genova 2001, di Firenze, di Macerata e tante altre ancora. Visto che il loro ruolo e il loro compito sono sempre gli stessi, abbiamo sempre ritenuto importante che la loro azione non trovasse né il silenzio né la tranquillità nel territorio in cui viviamo. E a proposito della rivolta di Genova 2001, e della vendetta di Stato che continua ad abbattersi sui compagni per quelle giornate, è sconcertante leggere con quale chiarezza un’intelligenza collettiva riuscì all’epoca a prefigurare una serie di scenari: devastazione globalizzata, neoliberismo sfrenato, riscaldamento climatico, politiche anti-immigrati che producono nuovi schiavi… un ordine sociale giunto ormai all’implosione.

Un altro silenzio che non accettiamo è quello che circonda le morti nelle carceri e nelle caserme. Da quando è stato aperto il carcere di Spini a Trento, molti detenuti si sono suicidati, altri ci hanno provato, altri an- cora sono morti per le negligenze mediche o per lo zelo repressivo dei magistrati di sorveglianza. Abbiamo conosciuto il dolore e la rabbia dei famigliari, degli amici, di chi ha perso il proprio figlio nelle mani dello Stato, ma abbiamo purtroppo conosciuto anche l’indifferenza e il silenzio dei più, malgrado simili tragedie siano più vicine di quanto si creda.

Uomini e donne che ricoprono coscientemente il ruolo di aguzzini decidono di contribuire a difendere una società fondata sulla paura, sul ricatto, sulla vendetta, sulla violenza e sul pregiudizio. E noi saremo sempre pronti a denunciarne le responsabilità, a ostacolarne il lavoro, a spingere altri a prendere posizione contro questi assassini in divisa, con il doppiopetto da burocrati o in camice bianco.

Chi ha cercato di incendiare le auto della polizia locale ha dato un segnale in tal senso. I poliziotti locali non sono solo quelli che indicano le strade alla bisogna, ma anche quelli che partecipano agli sfratti delle persone che non riescono a pagare l’obolo al padrone di casa, quelli che sparano alle spalle di un ragazzino, come è successo a Trento qualche anno fa, quelli che picchiano delle persone di colore, come è successo a Firenze, che applicano i Daspo, che partecipano alle retate contro chi è senza documenti e compiono tante altre nefandezze.

Le espulsioni, i campi di concentramento – si chiamino CPR o Hotspot –, i morti in mezzo al mare, in montagna o lungo i binari di una ferrovia sono lo scenario quotidiano di questo mondo a cui vorrebbero farci abituare. Per questo sono stati bloccati i treni ad Alta Velocità in solidarietà con chi è congelato su un sentiero di montagna o chi è stato risucchiato da un treno merci a qualche chilometro da casa nostra. Sempre per questo, il 7 maggio 2016, al Brennero ci siamo scontrati con la polizia e abbiamo bloccato ferrovia e autostrada. «Se non passano gli esseri umani, non passano nemmeno le merci»: questo era lo spirito di quella difficile giornata.

Di fronte al ghigno feroce del razzismo di Stato, dovremmo scandalizzarci perché qualcuno, nell’ottobre del 2018, ha attaccato la sede della Lega di Ala?

Nel novembre 2016, a Trento e a Rovereto, furono incendiate diverse auto di Poste Italiane. Nelle scritte lasciate sui luoghi delle azioni e riportate dai giornali, si faceva riferimento alle responsabilità di P.I che, tramite la propria controllata Mistral Air, si arricchiva deportando nei Paesi di origine donne e uomini privi dei documenti in regola per vivere in Italia. Senza contare che P.I. investe una parte dei propri introiti nei fruttuosi affari dell’industria degli armamenti. Ci chiediamo quale differenza ci sia tra i fatti accaduti negli anni Trenta e Quaranta e quelli di oggi? Perché si ricordano le vittime di allora con gli ipocriti mea culpa e nulla sembra scuotere oggi i cuori dei più?

Non passa giorno senza che su giornali, siti, televisioni si legga o si veda questa o quella guerra. Guerre per procura, guerre per interessi geopolitici, guerre per il territorio, di territorio, per il potere. Guerre che provocano i grandi spostamenti di uomini e donne. A promuovere queste guerre non sono solo gruppi industriali come la FIAT (con l’Iveco) o gli AD di Leonardo Finmeccanica e Fincantieri. Al loro servizio c’è una schiera di tecnici e scienziati, un esercito in camice bianco, con i guanti e le mani sterilizzate, che lavora nei laboratori delle nostre città, nelle università a due passi da noi. In nome della scienza e del progresso, si giustifica qualsiasi “scoperta”, senza che da quei luoghi si sollevi un qualche interrogativo di fondo: «A cosa porta tutto ciò?», «che scenari nuovi apre?», «a chi serve davvero?». Ecco allora che nel democratico e pacifico Trentino, l’Università collabora con l’esercito italiano, aiuta le istituzioni israeliane a meglio pianificare l’oppressione del popolo palestinese, fa entrare nei propri Consigli e nelle proprie aule le principali aziende di armi. Di fronte a questa palese connivenza, ci si sorprende che ignoti abbiano incendiato, nell’aprile del 2017, il laboratorio Cryptolab all’interno della Facoltà di Matematica e Fisica di Povo? Quando sugli stessi siti universitari si illustra la collaborazione con l’esercito?

E che dire dell’incendio di mezzi militari, la notte del 27 maggio 2018, all’interno dell’area addestrativa del poligono di Roverè della Luna? Oltre a ruspe e camion, sono stati dati alle fiamme tre carri armati Leopard. Di produzione tedesca, sono gli stessi carri che Erdogan ha utilizzato e utilizza per schiacciare la resistenza curda. Come dicevano dei manifesti antimilitaristi apparsi in Germania anni fa: «Un mezzo militare che brucia qui = qualcuno che non muore in qualche guerra». Un concetto di una semplicità… disarmante.

Sempre a proposito di antimilitarismo e di internazionalismo, nelle carte dell’inchiesta si parla di sabotaggi ai bancomat dell’Unicredit, banca che, senza contare i suoi investimenti nell’industria bellica, è la principale finanziatrice del regime fascista di Erdogan, che proprio in questi giorni sta mostrando tutta la sua ferocia in Siria e contro il dissenso interno. E poi si menzionano i sabotaggi ferroviari in occasione dell’Adunata degli Alpini. Per chi non ha eroi da onorare, ma carneficine da maledire, quei gesti di ostilità contro la sfilata del nazionalismo e del maschilismo gallonato hanno riattivato un minimo di memoria storica: le diserzioni, gli ammutinamenti, le sommosse per il pane, gli scioperi nelle fabbriche, gli spari contro gli ufficiali particolarmente odiati dalla truppa, le rivolte al grido di “guerra alla guerra!”, il posizionamento intransigente “contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione sociale”, oggi sempre più attuale.

Noi sosteniamo i portuali di Genova, di Le Havre e Marsiglia che si sono opposti al carico-scarico di materiale bellico destinato all’esercito saudita che da anni massacra la popolazione yemenita con bombe fabbricate, fino all’altro giorno, in Italia. Ma non ci accontentiamo. Vorremmo che gli operai disertassero le fabbriche di armi, quelle navali e chimiche; che gli scienziati uscissero dai loro laboratori. Vorremmo le università in sciopero, a partire da quelle di Giurisprudenza, dove si giustificano le cosiddette “missione di pace” (Peace-keeping, lo chiamano), vorremmo che i ferrovieri bloccassero i treni come all’epoca della prima guerra del Golfo.

Tramite le guerre gli industriali si arricchiscono sfruttando la mano d’opera operaia e comprandone la coscienza per un tozzo di pane. E ancora a meno se la comprano le agenzie interinali, sfruttando vecchie e nuove leggi sul lavoro e mandando la gente a lavorare a progetti devastanti come il TAP in Puglia. Per questo non ci stupisce che qualcuno, a Rovereto, abbia danneggiato un’agenzia Randstadt, ricordando che la guerra di classe non è finita.

Un’altra azione di cui siamo accusati è l’incendio dei ripetitori sul monte Finonchio, sopra Rovereto, nel giugno 2017. Da sempre denunciamo, e non siamo certo i soli, il danno ambientale provocato dalle decine di migliaia di queste torri sparse in tutti i territori, le cui onde causano tumori e disturbi vari agli umani e agli animali (e molto peggio sarà con il 5G). Oltre a ciò, simili tecnologie hanno diminuito le capacità di

concentrazione e di apprendimento, condizionato l’acquisto di merci, creato bisogni indotti, rimbambito i cervelli. Senza contare l’aspetto più importante: il controllo sociale. Ormai le inchieste poliziesche sono basate quasi esclusivamente su intercettazioni video e audio da montare e smontare a piacimento. La re- pressione e il controllo si potenziano con ogni scoperta tecnologica, la quale assicura a sua volta affari alle aziende che collaborano con gli Stati. Questa tendenza non è politica, bensì strutturale, dal momento che l’apparato accresce se stesso e, con il pretesto della sicurezza, giustifica qualsiasi cosa.

Ci viene contestato il fatto di “programmare la rivoluzione” tramite le riviste, gli appelli, gli scritti. Ebbene sì. Non ci abbattiamo di fronte alle avversità di questa epoca. Ogni sussulto di ribellione, ogni sommossa che tenda alla libertà, ogni moto rivoluzionario che riecheggia più o meno vicino a noi è motivo di energie rinnovatrici per la propaganda e per l’azione, al fine di sollecitare la società attorno a noi a un cambiamento radicale. Per questo negli anni abbiamo occupato vari edifici: non solo per avere degli spazi in cui organizzarci e creare dibattito, ma anche per provare a mettere in pratica la vita che vorremmo, con i nostri pregi e difetti. Forse siamo sognatori, romantici, illusi, ma siamo anche determinati, solidali, internazionalisti, concreti.

Se ci sarà da alzare la voce davanti alle porte di un supermercato o ai cancelli di una fabbrica o di un cantiere contro le nefandezze dei padroni e dello Stato, noi ci saremo; se ci sarà da bloccare progetti come il TAV, salendo su una trivella o danneggiandola, ci saremo; saremo là dove si alzerà la voce della rivolta.

Si contesta ad alcuni di noi, infine, di aver fabbricato dei documenti falsi. La falsificazione di documenti è uno strumento di cui tutti i movimenti di lotta, anarchici e non solo, si sono dotati per eludere la repressione statale, e a cui sono ricorsi e ricorrono gli sfruttati e i poveri per viaggiare in cerca di un posto migliore dove vivere. Soprattutto in un mondo in cui, se non hai in tasca il pezzo di carta giusto, muori in mare o in un lager libico, oppure finisci in uno dei tanti campi di concentramento sparsi per la civile e democratica Europa.

Gli inquirenti sostengono che un gruppo di affinità è difficile “da infiltrare e da demoralizzare”. Che chi mira al potere non riesca a capire chi mira alla libertà ci sembra un’ottima cosa.

Non saranno condanne e carcere a farci innalzar bandiera bianca. Continueremo a volere quel cambiamento radicale intravisto durante la Comune di Parigi del 1871, che tanto fece tremare lo Stato e i padroni. Sappiamo che questo cambiamento radicale non avverrà dal nulla, per qualche determinismo della storia. Sarà il frutto della volontà, spinta verso gli scopi più alti della convivenza umana, verso l’anarchia, «un modo di vita individuale e sociale da realizzare per il maggior bene di tutti» (Malatesta).

Concetto tanto semplice quanto lontano dalla situazione in cui ci troviamo.

Ogni azione che oggi va ad indicare i diretti responsabili dello sfruttamento umano e ambientale è utile perché fa capire che l’oppressione è più vicina di quanto crediamo.

Ma starà alla volontà di ciascuno di noi abbattere le paure a cui ci vorrebbero sottoposti e svegliarci dalle comodità materiali con cui uccidono lo spirito, i pensieri, le idee.

Noi non costringiamo nessuno a fare quello che non vuole, ma non permetteremo neanche che a nome nostro o con la nostra collaborazione si continui a distruggere e ammazzare. Non resteremo inermi e impassibili. Non ci faremo né zittire né trascinare nel fango della barbarie.

In questi anni e mesi abbiamo visto decine di compagne e compagni finire in galera, alcuni condannati a lunghe pene. Invitiamo a unire le forze e dare le risposte necessarie a questi attacchi contro il nostro movimento. Agendo si faranno inevitabilmente degli errori. Si tratta di temprare corpi e menti per una rinnovata fiducia nelle idee e nelle pratiche di libertà.

Vogliono che cadiamo nella rassegnazione e nello smarrimento. Hanno già fallito.

Visto che agli inquisitori piace tanto giocare con le parole (degli altri) non meno che con i fatti, “Renata” pare l’ennesimo inciampo lessicale, perché ogni cuore ardente è pronto a “rinascere” per ogni torto subìto.

Trento, 18 ottobre 2019

Stecco, Agnese, Rupert, Sasha, Poza, Nico e Giulio

[Tratto da roundrobin.info].

_____________________________________________________________________________

Italy: To the Burning Hearts. Collective Text of Anarchists Arrested in Operation Renata in Trentino (October 18, 2019)

The following is a collective text by anarchist comrades, arrested in the repressive operation Renata, in Trentino, Italy.


The anarchist does not look to success, to victory, to competition. Fight because it’s right. And in any fight the loss is part of life. He does not change his mind because he loses and even less renounces the subsequent struggle. The system feeds itself on the people who do not struggle, not because they are invincible. The work of the anarchist is to instill a revolt in the people, not in segments but continually. Like a wave that withdraws and then returns. You ask me if we will win? You ask me the wrong question. Ask me if we will fight and I will answer yes.
– Luigi Galleani

Today we decided to have our say on the “Renata” operation. In other writings the inquiry was analyzed, both in regard to the general repressive aspects of the State, and in regard to the technological, inquisitorial and juridical tools used to hit those who still dare to fight for something different and still are on the wings of freedom.

We have decided not to go to the Court that will judge us. It is not the courtroom where we choose to speak today.

We want to say in those places where we struggle, where there is still a critical spirit, wherever there are conscious men and women that so many things must be changed now, that this state of affairs must be revolutionized.

So we will talk about the facts we are accused of or that are included in the investigation.

These actions – nocturnal or diurnal, individual or collective – are part of a conflict that goes far beyond the specific facts or the territory in which they are located. They are the result of a wider battle, that between the exploited, the exploiters and those who defend them.

We share the spirit, ethics, method and goals of these actions, regardless of who performed them. They speak for themselves, they are understandable to most, they point to a path – that of liberation. They point the finger at those who live by exploitation and war, by hatred and violence, they hope for something more, something that puts an end to the worst atrocities and barbarism, but above all they aim to destroy the wall of resignation, in such poor times of human solidarity, of rebellion, critical thinking.

Who in recent years has said and still says that such actions are of no use, that nothing will change, that the human being has definitively lost his mind reducing life to a constant fratricidal war; he stopped dreaming, stopped questioning the perpetrators of injustices and the causes that led society to a moral, environmental and material level that is, to say the least, disturbing. Among the many things told in folders, it emerges that in recent years we have fallen many times in the street with helmets and sticks against parties and movements such as Lega, Casapound and Sentinelle. We have criticized in dozens of flyers, posters and initiatives of various kinds their historical responsibilities and their reactionary policies: political and religious groups that promote hatred among the exploited, who defend the master class, which feed a society based on privilege, on racism, on patriarchy and much more.

In these arid times of struggle and social conflict, one is scandalized by the practices of self-defense in the street, forgetting the past in which this was common heritage, the minimum common sense of distinguishing reactionary violence from proletarian violence. Not only do we forget what the police, carabinieri, church and fascists have done in this country, but the violence of the recent past: Genoa 2001, Florence, Macerata and many others. Since their role and task are always the same, we have always considered it important that their action could find neither silence nor tranquility in the territory in which we live. And speaking of the revolt of Genoa 2001, and of the revenge of the State that continues to break down on the comrades for those days, it is disconcerting to read with what clarity a collective intelligence managed at the time to prefigure a series of scenarios: globalized devastation, unbridled neoliberalism, global warming, anti-immigrant policies that produce new slaves … a social order that is now imploded.

Another silence that we do not accept is that surrounding the deaths in prisons and barracks. Since the Spini prison was opened in Trento, many prisoners have committed suicide, others have tried, others have died due to medical negligence or the repressive zeal of the surveillance magistrates. We have known the pain and anger of family members, friends and those who have lost their children in the hands of the State, but unfortunately we have also known the indifference and the silence of the majority, despite the fact that similar tragedies are closer than we think.

Men and women who consciously play the role of torturers decide to help defend a society based on fear, blackmail, revenge, violence and prejudice. And we will always be ready to denounce their responsibilities, to hinder their work, to push others to take a stand against these uniformed killers, whether the double-breasted bureaucrats or those in a white coat.

Those who tried to set fire to local police cars gave a signal to that effect. The local policemen are not only those who indicate the roads to the need, but also those who participate in the evictions of the people who are unable to pay rent to the landlord, those who shoot a boy in the back, as happened in Trento a few years ago, those who beat black people, as happened in Florence, who apply Daspos [bans on access to sports games], who participate in raids against those who are undocumented and do many other atrocities.

Expulsions, concentration camps – called CPR or Hotspot -, the dead in the middle of the sea, in the mountains or along the tracks of a railway are the daily scenery of this world that they would like us to get used to. For this reason, the high-speed trains were blocked in solidarity with those frozen on a mountain path or those who were sucked into a freight train a few kilometers from our house. Also for this reason, on May 7, 2016, we clashed with the police at the Brenner and blocked the railway and the motorway. “If human beings do not pass, the goods do not pass either”: this was the spirit of that difficult day.

Faced with the fierce grin of state racism, should we be scandalized because someone attacked the headquarters of the League in Ala in October 2018?

In November 2016, several cars of Poste Italiane were burned in Trento and Rovereto. In the writings left on the places of the actions and reported by the newspapers, reference was made to the responsibilities of P.I which, through its subsidiary Mistral Air, enriched itself by deporting women and men without proper documents to live in Italy to their countries of origin. Not to mention that P.I. invests part of its income in the profitable armaments industry. We wonder what difference there is between the events that occurred in the thirties and forties and those of today? Why do we remember the victims of the time with hypocrites’ mea culpa and nothing seems to shake the hearts of the people today?

Not a day goes by without reading or seeing this or that war in newspapers, websites, or televisions. Proxy wars, wars for geopolitical interests, wars for territory, for power. Wars that cause the great movements of men and women. These wars are not promoted only by industrial groups like FIAT (with Iveco) or the CEOs of Leonardo Finmeccanica and Fincantieri. At their service there is a host of technicians and scientists, an army in white coats, with gloves and sterilized hands, who work in the laboratories of our cities, in universities just a stone’s throw from us. In the name of science and progress, any “discovery” is justified, without some fundamental question being raised from those places: “What brings all this?”, “What new scenarios does it open?” “ Here then is that in the democratic and peaceful Trentino, the University collaborates with the Italian army, helps the Israeli institutions to better plan the oppression of the Palestinian people, lets the main arms companies enter their councils and classrooms. Faced with this blatant connivance, is it surprising that in April 2017 unknown persons set fire to the Cryptolab laboratory within the Faculty of Mathematics and Physics of Povo? When is the collaboration with the army illustrated on the same university sites?

And what about the fire of military vehicles on the night of May 27, 2018, within the training area of the Roverè della Luna shooting range? In addition to bulldozers and trucks, three Leopard tanks were set on fire. Of German production, they are the same floats that Erdogan has used to crush the Kurdish resistance. As they said of the antimilitarist posters that appeared in Germany years ago: “A military vehicle burning here = someone who does not die in some war.” A concept of simplicity … disarming.

Still on the subject of anti-militarism and internationalism, the investigation papers speak of sabotage at the Unicredit ATMs, a bank which, without counting its investments in the war industry, is the main financier of Erdogan’s fascist regime, which precisely in these days is showing all its ferocity in Syria and against internal dissent. And then the railway sabotage is mentioned during the Alpini Meeting. For those who have no heroes to honor, but carnage to curse, those gestures of hostility against the parade of nationalism and male chauvinism have reactivated a minimum of historical memory: desertions, mutinies, riots for bread, strikes in factories, the shots against the officers particularly hated by the troops, the revolts to the cry of “war on war!”, the uncompromising positioning “against the war, against peace, for the social revolution,” today more and more current.

We support the dock workers of Genoa, Le Havre and Marseille who opposed the loading-unloading of war material destined for the Saudi army that for years has been massacring the Yemeni population with bombs manufactured, until the other day, in Italy. But we are not satisfied. We would like the workers to desert the arms factories, the naval and chemical ones; that the scientists came out of their laboratories. We would like the universities on strike, starting from those of Jurisprudence, where the so-called “peace mission” (Peace-keeping, they call it) are justified, we would like the railwaymen to block the trains as at the time of the first Gulf War.

Through the wars the industrialists get rich by exploiting the workers’ labor and buying their conscience for a piece of bread. And even less if the temporary agencies buy it, taking advantage of old and new labor laws and sending people to work on devastating projects like TAP in Puglia. This is why we are not surprised that someone in Rovereto has damaged a Randstadt agency, remembering that the class war is not over.

We are challenged to “plan the revolution” through magazines, appeals and writings. Well yes. We do not fall before the adversities of this age. Every jolt of rebellion, every revolt that tends to freedom, every revolutionary movement that echoes more or less close to us is a reason for renewing energies for propaganda and action, in order to solicit society around us to a radical change. This is why over the years we have occupied various buildings: not only to have spaces in which to organize ourselves and to create debate, but also to try to put into practice the life we would like, with our strengths and weaknesses. Perhaps we are dreamers, romantics, deluded, but we are also determined, supportive, internationalist, concrete.

If we have to raise our voices in front of the doors of a supermarket or at the gates of a factory or a building site against the wickedness of the owners and the state, we will be there; if we have to block projects like the TAV, climbing on an auger or damaging it, we will be there; we will be there where the voice of the revolt will rise.

Finally, some of us are accused of having fabricated false documents. The falsification of documents is an instrument of which all the fighting movements, anarchists and others, have equipped themselves to evade the state repression, and to which the exploited and the poor resort to in order to travel in search of a better place to live. Especially in a world where, if you don’t have the right piece of paper in your pocket, you die at sea or in a Libyan concentration camp, or you end up in one of the many concentration camps scattered around the civil and democratic Europe.

Investigators claim that an affinity group is difficult to “infiltrate and demoralize.” That those aiming for power fail to understand who seeks freedom seems to us an excellent thing.

There will be no condemnation and imprisonment for raising the white flag. We will continue to want that radical change glimpsed during the Paris Commune of 1871, which caused both the State and the bosses to tremble. We know that this radical change will not come from nothing, for some determinism of history. It will be the fruit of the will, driven towards the highest goals of human coexistence, towards anarchy, “an individual and social way of life to be achieved for the greater good of all” (Malatesta).

A concept as simple as it is far from the situation in which we find ourselves.

Any action that today goes to indicate those directly responsible for human and environmental exploitation is useful because it shows that oppression is closer than we believe.

But it will be up to each of us to break down the fears they would like us to undergo and to wake up from the material comforts with which they kill the spirit, thoughts and ideas.

We do not force anyone to do what they do not want, but neither will we allow them to continue to destroy and kill on our behalf or with our collaboration. We will not remain helpless and unmoved. We will not be silenced or dragged into the mud of barbarism.

In these years and months we have seen dozens of comrades end up in jail, some sentenced to long sentences. We invite you to join forces and give the necessary answers to these attacks against our movement. Those that act will inevitably make mistakes. It is about tempering bodies and minds for renewed confidence in ideas and practices of freedom.

They want us to fall into resignation and bewilderment. They have already failed.

Since the inquisitors like to play with words (of others) as much as with the facts, “Renata” seems another umpteenth lexical stumble, because every burning heart is ready to “be reborn” for every wrong suffered.

Trento, October 18, 2019

Stecco, Agnese, Rupert, Sasha, Poza, Nico and Giulio

[From amwenglish.com].


Background on Operation Renata

During the night and the morning of Tuesday, February 19, 2019, seven anarchists were arrested in various places in Trentino (Italy): Agnese, Giulio, Nico, Poza, Rupert, Sasha, Stecco. One person (Sasha) was placed under house arrest while all the others were imprisoned in various prisons. The main accusations are “subversive association for the purpose of terrorism and subversion of the democratic order” (article 270bis of the penal code) and “terrorist attack” (article 280 of the penal code), with reference to some direct actions that took place in Trentino during the last few years. Other offenses of which they are accused are: “interruption of public service,” “damage,” “sabotage of telematic devices,” “fire” and “transport of exploding material.”

At the same time 50 searches were carried out, with about 150 policemen and Carabinieri mobilized in the repressive operation (which was given the name “Operation Renata.” It is clear the attempt to hit the anarchist presence in Trentino, pigeonholing and describing the relations between anarchist comrades within a phantom “subversive association” (with leaders, inciters, cashiers, responsible, “hideouts,” etc.), an accusation trying to convey as many years as possible in prison.

[From https://325.nostate.net].

_____________________________________________________________________________

Italie: Aux coeurs brûlants. Texte de compagnon.e.s de Trento, accusé.e.s «d’association subversive» in Trentino (18 octobre 2019)

L’anarchiste n’aspire pas au succès, à la victoire, à la compétition. Il lutte, parce que c’est juste de le faire. Dans chaque lutte, la défaite fait partie de la vie. Il ne change pas d’avis parce qu’il perd et il ne renonce pas non plus à la lutte qui suivra. Le Système s’autoalimente parce que le peuple ne lutte pas, non parce qu’il est invincible. Le travail de l’anarchiste est d’insuffler la révolte au peuple, pas à segments mais de façon continue. Comme une vague qui se retire et revient. Vous me demandez si vous vaincrons? La question est incorrecte. Demandez moi si nous lutterons et je vous répondrons que oui.
Luigi Galleani

Aujourd’hui nous avons décidé de dire quelque chose à propos de l’opération répressive Renata”. D’autres textes ont analysé l’enquête, à travers les aspects répressifs de l’Etat, et les instruments technologiques, inquisitoriales et judiriques utilisés pour frapper qui ose encore se battre pour quelque chose de different et qui souffle encore sur les ailes de la liberté.

Nous avons décidé de ne pas nous adresser à la Cour qui va nous juger, ni à qui nous répriment. Ce n’est pas dans une salle d’audience que nous avons décidé de parler.

Nous voulons parler dans les lieux où il y a des luttes, où il y a encore un esprit critique, partout où il y a des personnes conscientes du fait que tant de choses doivent changer maintenant, que cet état de fait doit être révolutionner.

Nous parlerons donc des faits insérés dans l’enquête et qui nous sont reprochés.

Ces actions -nocturnes ou diurnes, individuelles ou collectives – prennent place dans un conflit qui va bien au-delà des faits spécifiques ou du territoire où elles se sont déroulées. Elles sont le fruit d’une confrontation plus ample, celle entre les exploités et les exploiteurs et ceux qui les défendent.

Nous partageons l’esprit, l’éthique, la méthode, les objectifs de ces actions, indépendamment de qui les a réalisées. Elles parlent d’elles-mêmes, elles sont compréhensibles à un grand nombre, elles indiquent une voie, celle de la libération. Elles pointent le doigt sur qui vit de l’exploitation et de la guerre, de la haine et de la violence. Elles souhaitent quelque chose de plus, quelque chose qui mette fin aux pires atrocités et aux barbaries. Mais surtout, elles visent à détruire le mur de la résignation, en ces temps qui manquent de solidarité humaine, de rébellion, de pensées critiques.

Quiconque, dans le passé récent et aujourd’hui encore, dit que de telles actions ne servent à rien, que le jeu n’en vaut pas la chandelle, que rien ne changera, que l’être humain a perdu de manière définitive la raison, réduisant la vie à une guerre fraticide constante, a cessé de rêver, a renoncé de s’interroger sur les responsables des injustices et sur les causes qui ont amené cette société à un niveau morale, environnemental et matériel, pour le moins inquiétant.

Dans le dossier, il émerge que ces dernières années, nous sommes descendues de nombreuses fois dans la rue avec des casques et des bâtons, contre des partis et des mouvements comme la Ligue du Nord, Casapound ou les Sentinelle in piedi [mouvement pro-vie, anti avortement ndt]. Nous avons critiqué, dans des dizaines de tracts, d’affiches et d’initiatives de différents types, leurs responsabilités historiques et leurs politiques réactionnaires. Ce sont des groupes politiques et religieux qui diffusent la haine entre les exploités, qui défendent la classe patronale, qui alimentent une société basée sur les privilèges, sur le racisme, sur le patriarcat et autres.

En ces temps arides de luttes et d’affrontements sociaux, on se scandalise devant des pratiques d’autodéfense dans la rue, en oubliant que dans le passé, elles faisaient parties du patrimoine commun, et en oubliant le bons sens de distinguer la violence réactionnaire de la violence prolétaire. Non seulement on oublie ce que police, gendarmes, Eglise et fascistes ont fait dans ce pays mais aussi les violences d’avant hier : de Gênes en 2001, de Florence, de Macerata [homicides et tentatives d’homicide racistes ndt] et tant d’autres. Vu que leurs rôles et leurs fonctions sont toujours les mêmes, nous avons toujours retenu important que leurs actions ne trouvent ni le silence, ni la tranquillité dans le territoire où nous vivons.

A propos de la révolte de Gênes en 2001, et de la vengeance de l’État qui continue de s’abattre sur des compagnon.es, il est déconcertant de lire avec quelle clarté une intelligence collective avait, à l’époque, préfigurer une série de scénarios : dévastations globalisées, néolibéralisme éffrené, réchauffement climatique, politiques anti-migratoires qui produisent de nouveaux esclaves… un ordre social qui atteint désormais l’implosion.

Un autre silence que nous n’acceptons pas est celui qui entoure les morts dans les prisons et les commissariats. Depuis l’ouverture de la prison de Spini à Trento, beaucoup de détenus se sont suicidés, d’autres ont tenté, d’autres encore sont morts à cause des négligences médicales ou du zèle répressif des magistrats. Nous avons connu la douleur des familles, des ami.e.s, de quiconque a perdu ses propres enfants entre les mains de l’Etat, mais nous avons malheureusement connu aussi l’indifférence et le silence de la plupart des gens, malgré le fait que de telles tragédies sont plus proches qu’on ne le croit.

Des hommes et des femmes, qui prennent consciemment le rôle de bourreaux, décident de contribuer à défendre une société basée sur la peur, le chantage, sur la vengeance, la violence et les préjugés. Nous serons toujours prêt.e.s à en dénoncer les responsabilités, à en entraver le travail, à inciter d’autres personnes à prendre position contre ces assassins en uniforme, en costard de bureaucrates, en blouse blanche.

Qui a tenté d’incendier les véhicules de la police municipale [9 véhicules ciblés sur le parking de la mairie tôt lundi 4 décembre 2017, NdSAD] a donné, en ce sens, un signal. Les policiers municipaux ne sont pas seulement ceux qui régulent le trafic, mais ce sont aussi ceux qui participent aux expulsions locatives des personnes qui ne parviennent pas à payer le loyer aux propriétaires; ceux qui tirent dans le dos de jeunes, comme à Trento il y a quelques années; ceux qui frappent les personnes non blanches, comme à Florence; ceux qui appliquent les Daspo [mesures preventives de la préfecture contre la dangerosité sociale qui restreignent les libertés, particulièrement la liberté de mouvement ndt]; ceux qui participent aux rafles contre des personnes sans papiers et qui accomplissent tant d’autres infâmies.

Les expulsions, les camps de concentration- appelés CPR [équivalent des CRA] ou Hotspot [centre de rétention et de tri aux zones frontalières ndt]-, les morts en pleine mer, dans les montagnes ou le long des voies ferrées sont le scenario quotidien dans ce monde, et auquel il faudrait s’habituer. C’est pour cela que des trains à grande vitesse ont été bloqués en solidarité avec celles et ceux qui sont mort.e.s congelé.e.s sur un sentier de montagne ou écrasé.e.s par un train de marchandises à quelques kilomètres de chez nous.

Toujours pour cela, le 7 mai 2016, nous nous sommes affronté.e.s à la police au Brennero [frontière entre l’italie et l’autriche ndt] et nous avons bloqué la gare et l’autoroute. “Si vous ne faites pas passer des êtres humains, nous ne laissons pas passer les marchandises” résume l’esprit de cette journée difficile.

Face au rictus féroce du racisme d’Etat, nous devrions nous scandaliser, parce qu’en octobre 2018, quelqu’un.e a attaqué le siège de la Ligue du Nord à Ala?

En novembre 2016, à Trento et à Rovereto, des voitures la Poste Italienne furent incendiées. Le message laissé sur les lieux, et rapporté par les journaux, mentionnait la responsabilité de la Poste qui, à travers sa filiaire Mistral Air, s’enrichit en expulsant dans les pays d’origine des personnes qui n’ont pas les papiers en règle pour vivre en Italie. Sans compter que la Poste investit une grande part de ses bénéfices dans les fructueuses affaires de l’industrie de l’armement.

Nous nous demandons quelle est la difference entre les faits des années 30 et 40 et ceux d’aujourd’hui ? Pourquoi nous commémorons les victimes du passé avec des hypocrites mea culpa et rien ne semble faire trembler les coeurs de la plupart des gens aujourd’hui?

Il ne se passe pas un jour sans que les journaux, les sites, la télévision ne nous montrent telle ou telle guerre. Guerres par procuration, guerres pour des intérêts géopolitiques, guerres pour les territoires, pour le pouvoir. Guerres qui provoquent de grands déplacements de personnes. A promouvoir ces guerres, ce ne sont pas seulement des groupes industriels comme la Fiat (avec l’Iveco) ou les patrons de Leonardo Finmeccanica [multinationale italienne des secteurs de la défense, aérospatiales, et de la sécurité ndt] ou Fincantieri. A leurs services, il y a toute une troupe de techniciens et de scientifiques, toute une armée en blouse blanche, les mains dans des gants stérilisés, qui travaillent dans les laboratoires de cette ville, dans les universités à deux pas de chez nous. Au nom de la science et du progrès, on justifie n’importe quelle “découverte”, sans que quelques interrogations de fond émergent de ces lieux: “Où cela nous mène?”, “Quels nouveaux scénarios s’ouvrent alors?”, “A qui cela sert-il réellement?”. Et voilà que dans cette région démocratique et pacifiée de Trento, l’Université collabore avec l’armée italienne, aide les institutions israéliennes à mieux planifier l’oppression du peuple palestinien, fait rentrer les principales entreprises d’armement dans leurs propres Conseils et dans leurs bureaux. Face à cette flagrante connivence, on est surpris.e.s que des inconnus aient incendié, en avril 2017, le laboratoire Cryptolab à l’intérieur de la Faculté de mathématique et physique de Povo? Quand ces mêmes sites universitaires illustrent leur collaboration avec l’armée?

Et que dire de l’incendie de véhicules militaires, dans la nuit du 27 mai 2018, à l’intérieur de la zone d’entraînement du polygone de Rovere della Luna? En plus des pelleteuses et des camions, les flammes ont rejoint trois chars d’assaut Leopard. Produits en Allemagne, ce sont les mêmes chars qu’Erdogan a utilisé et utilise pour écraser la résistance kurde. Comme disait une affiche antimilitariste apparue en Allemagne il y a quelques années : “un véhicule militaire qui brûle ici = quelqu’un.e qui ne meurt pas dans une guerre ”. Un concept d’une simplicité… désarmante.

Toujours à propos d’antimilitarisme et d’internationalisme, le dossier de l’enquête parle d’un sabotage de distributeurs automatiques de l’Unicredit [cf ici et , NdSAD]. Cette banque, sans compter ses investissements dans l’industrie belliciste, est la principale financeur du régime fasciste d’Erdogan, qui est en train de montrer toute sa férocité en Syrie et contre l’opposition interne.

Le dossier mentionne d’autres sabotages ferroviaires à l’occasion du rassemblement des Alpini [troupes de montagne de l’armée italienne ndt]. Pour quiconque n’a aucun héros à honorer, mais de la chair à canon à maudire, ces gestes d’hostilité contre le défilé du nationalisme et du masculinisme à galons, ont réactivé un minimum de mémoire historique : les désertions, les mutineries, les révoltes pour le pain, les grèves dans les usines, les coups de feu contre les officiers particulièrement détestés de la troupe, les révoltes aux cris de “guerre à la guerre!”, la position intransigeante “contre la guerre, contre la paix, pour la révolution sociale”, aujourd’hui toujours d’actualité.

Nous soutenons les Dockers de Gênes, du Havre et de Marseille qui se sont opposés au chargement-déchargement de matériel de guerre destiné à l’armée saoudienne, qui massacre depuis des années la population yéménite, avec des bombes fabriquées en Italie.

Mais cela ne nous suffit pas. Nous voudrions que les ouvrier.es désertent les usines d’armement, celles des navires et des usines chimiques. Nous voudrions que les scientifiques quittent leurs laboratoires. Nous voudrions que les universités soient en grève, en partant de celle de Jurisprudence, où sont justifiés les dites “missions pour la paix” (Peace-keeping, comme ils les appellent). Nous voudrions que les cheminots bloquent les trains, comme à l’époque de la première guerre du Golfe.

A travers les guerres, les industriels s’enrichissent en exploitant la main d’oeuvre ouvrière et en achetant les consciences pour une bouchée de pain. De même, les agences intérimaires, exploitant de vieilles et nouvelles lois sur le travail, envoient les gens bosser sur des projets dévastants comme le Tap dans les Pouilles [construction d’un gazoduc qui traverserait la Grèce, l’Albanie pour finir en Italie ndt]. Cela ne nous étonne donc pas que quelqu’un.e, à Rovereto, ait endommagé l’agence d’intérim Randstadt, en rappelant que la guerre des classes n’est pas terminée.

Une autre action dont nous sommes accusé.e.s est l’incendie d’une antenne relais sur le mont Finonchio, au-dessus de Rovereto, en juin 2017. Depuis toujours nous dénonçons, et nous ne sommes pas les seul.e.s, les dommages environnementaux provoqués par les dizaines de milliers de ces tours éparpillées sur tout le territoire, dont les ondes provoquent tumeurs et troubles divers chez les humains et les animaux (et cela empirera avec la 5G). En plus, de telles technologies ont diminué les capacités de concentration et d’apprentissage, ont conditionné l’achat de biens, ont fabriqué des besoins induits, ont ramoli les cerveaux. Sans compter l’aspect le plus important : le contrôle social. Désormais les enquêtes policières sont basées presque exclusivement sur des interceptions vidéo et audio, à monter et démonter à leur bon vouloir. La répression et le contrôle se renforce avec chaque découverte technologique, laquelle assure à son tour une affaire juteuse aux entreprises qui collaborent avec les Etats. Cette tendance n’est pas politique, mais bien structurelle, du moment que l’appareil s’accroît sur lui- même et, grâce au prétexte de la sécurité, justifie n’importe quoi.

On nous reproche le fait de “programmer la révolution” à travers des revues, des appels, des écrits. Et bien oui. Nous ne nous mettons pas à genoux devant l’adversité de cette époque. Chaque secousse de rébellion, chaque soulèvement qui tend à la liberté, chaque élan révolutionnaire, qui résonne plus ou moins proche de nous, renouvèle des énergies pour la propagande et pour l’action, afin d’encourager la société autour à un changement radical. C’est pour cela que nous avons occupé différents édifices ces dernières années: pas seulement pour avoir des espaces où nous organiser et créer du débat, mais également pour tenter de mettre en pratique la vie que nous désirons, avec nos qualités et nos défauts.

Nous sommes peut-être des personnes rêveuses, romantiques, naïves, mais nous sommes aussi déterminées, solidaires, internationalistes, entières.

S’il faudra hausser le ton devant les portes d’un supermarché, devant le portail d’une usine ou dans un chantier contre les horreurs des patrons et de l’Etat, nous serons lá. S’il faudra bloquer des projets comme le TAV, en escaladant sur une machine de chantier ou en la sabotant, nous serons lá. Nous serons lá où s’élèvent les cris de révolte.

Pour finir, il nous est reproché, pour certain.e.s d’entre nous, d’avoir fabriqué de faux documents. La falsification de documents est un instrument dont tous les mouvements en lutte, anarchistes et pas seulement, se sont dotés pour contourner la répression étatique. La falsification de documents a soutenu et soutient de nombreux exploités et pauvres pour voyager à la recherche d’un lieu meilleur pour vivre; particulièrement dans un monde où si tu n’as pas le bon bout de papier, tu meurs en pleine mer ou dans une prison lybienne, ou tu finis dans un des nombreux camps de concentration de cette civile et démocratique Europe.

Les inquisiteurs soutiennent qu’un groupe affinitaire est difficile “à infiltrer et à démoraliser”. Le fait que celles et ceux qui ont pour but le pouvoir ne réussisse pas à comprendre celui/celle qui tend vers la liberté, nous semble une bonne chose.

Ce ne sera pas les condamnations et la prison qui nous feront brandir le drapeau blanc. Nous continuerons à vouloir ce changement radical, entrevu à la Commune de Paris et qui fit trembler l’État et les patrons. Nous savons que ce changement radical ne viendra ni tout seul, ni grâce à un déterminisme de l’histoire. Il sera le fruit de la volonté, poussée vers les plus grands objectifs de la coexistence humaine, vers l’anarchie, « un mode de vie individuel et social à réaliser pour le bien de tous » (Malatesta). Un concept aussi simple qu’éloigné de la situation actuelle.

Chaque action qui, aujourd’hui, indique les responsables directs de l’exploitation humaine et environnementale est utile parce qu’elle montre que l’oppression est plus proche que nous ne le croyons. Cela reviendra à la volonté de chacun.e d’abattre les peurs qui nous soumettent et à la volonté de se réveiller du confort matériel qui tue l’esprit, les pensées, les idées.

Nous n’obligeons personne à faire quelque chose qu’il ne veut pas, mais nous ne permettrons pas non plus que l’on continue à détruire et assassiner en notre nom ou avec notre collaboration. Nous ne resterons pas impuissant.e.s et impassibles. Nous ne nous ferons pas taire, ni traîner dans la boue de la barbarie.

Ces derniers mois et ces dernières années, nous avons vu des dizaines de compagnon.e.s être emprisonné.e.s, dont certain.e.s condamné.e.s à de longues peines. Nous invitons à unir les forces et à riposter contre ces attaques à notre mouvement. En agissant, des erreurs se feront inévitablement. Il faut forger nos corps et nos esprits à une nouvelle confiance dans les idées et les pratiques de liberté.

Ils veulent nous faire tomber dans la résignation et la confusion. Ils ont déjà échoué.

Vu que nos inquisiteurs aiment jouer avec les mots (des autres), autant qu’avec les actes, « Renata » [prénom qui signifie « renaît » ndt] semble leur énième erreur lexicale, car chaque coeur brûlant est prêt à « renaître » pour chaque tort subi.

Trento, le 18 octobre 2019

Stecco, Agnese, Rupert, Sasha, Poza, Nico et Giulio

[Lettre traduite de l’italien reçue par mail et légèrement revue, 05.11.2019].
[Depuis sansattendre.noblogs.org].