(it) E’ uscito il settimo numero del giornale ecologista radicale “L’urlo della Terra”

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E’ uscito il settimo numero del giornale ecologista radicale “L’urlo della Terra”

In questo numero:

– Il Green New Deal e l’ecologismo di stato: la trappola della sostenibilità (Costantino Ragusa)
– I Paradossi delle politiche dell’identità (Silvia Guerini)
…O verso una civilizzazione post-umana? Conoscenza contro sapere, scienza contro mondo sensibile: progressione del disumano (André Gorz da L’immatèriel, editions le Galilée)
– Un resoconto equilibrato del mondo: uno sguardo critico alla visione del mondo scientifico (Wolfi Landstreicher)
– Il corpo di genere nello specchio delle nuove tecnologie (Game Over _ για τη διάσωση της αμήχανης σκέψης)
– Sabotiamo il mondo macchina della rete 5G e della smart city (Collettivo Resistenze al Nanomondo)
– Dal collettivo di Grenoble Anti Linky e da Pièces et Main d’Oeuvre
– Stralci dal libro “Meccanici i miei occhi. Nati in laboratorio. Dall’utero in affitto alla manipolazione genetica”.

Editoriale

Ci piacerebbe concentrare queste nostre righe su quelle che sono le questioni che da anni portiamo avanti con questo giornale, ma dobbiamo fare i conti anche con altri aspetti che riguardano questo clima sempre più repressivo che si respira in questi ultimi mesi. Ovviamente il decreto sicurezza appena approvato da questo governo con tutto il suo carico di attacco alle libertà degli individui e alle lotte sociali rappresenta un aspetto importante. Ma sarebbe sicuramente inadeguato porre la nostra attenzione solo su questo e soprattutto solo su singoli ministri, che seppur accaniti non hanno fatto tantissimo di più dei precedenti di sinistra. È proprio la sinistra democratica che ha messo in piedi le peggiori infrastrutture repressive, chi è arrivato dopo non ha fatto altro che continuare e confermare dove necessario su quel medesimo solco.
Se ci troviamo in questa situazione senza riuscire sempre a comprenderla lo si deve anche a tutti quegli anti di tutto, soprattutto di sinistra, per quel che ne rimane, e progressisti convinti che impegnati a evidenziare aspetti particolari e parzialità si sono fatti scappare la totalità del problema o quei punti cardine che meritavano non solo degli slogan o pensieri di superficie ma riflessioni approfondite.
Abbiamo a che fare con un processo repressivo che di anno in anno stringe sempre di più il proprio nodo su fasce proletarie più deboli, migranti, disoccupati svantaggiati di ogni tipo, che si ritrovano le asfissianti attenzioni di questa repressione, sempre più diluita nei contesti, ma non per questo meno feroce. Senza tetto spazzati via di strada in strada man mano che arrivano gli impianti di luce “intelligenti”, spinti fino agli ingressi delle cliniche. Migranti trasformati in invisibili, magari senza documenti, costretti ad attività extralegali destinati a rinfoltire le carceri e ad essere strumentalizzati per le politiche securitarie cittadine. La pressione repressiva soffiata con gran vigore da ogni possibile canale di informazione crea quel giusto clima che si respira ormai un pò ovunque: un nemico istituzionale impalpabile, virtuale, mai raggiungibile che crea frustrazione nella gran parte delle persone comuni; dall’altra parte abbiamo i migranti invece presi a capro espiatorio per sfogare rabbia e frustrazione in quello che viene definito nuovo razzismo, ma forse andrebbe maggiormente indagato anche questo aspetto. La realtà e i vari fenomeni vengono rappresentati e descritti sempre ed esclusivamente con poche parole chiave che dovrebbero immediatamente spingere all’attenzione del problema. Queste non sono più adatte perché sono state per troppo tempo utilizzate in modo inadeguato, retoricamente o semplicemente perché sono state per molti contesti l’unico modo di opporsi alla realtà delle cose con toni vuoti e ridondanti da trasformarsi in tanti dischi rotti che nessuno riesce più ad ascoltare.
Se consideriamo la repressione come processo è evidente che saranno molti ad essere tagliati fuori dalla nuova società che si va creando, ma sarà un qualcosa che riguarderà tutti senza escludere nessuno, il cambiamento è inarrestabile. Le differenze ci saranno ovviamente, ma saranno privilegi in questo nuovo assesto.
Una società sempre più a misura di macchina non può che essere una società sempre più repressiva, anche solo per l’aspetto di quell’enorme porzione di popolazione che si troverà esclusa semplicemente perché non più utile nei nuovi processi economici produttivi “intelligenti” e che si ritroverà ai margini. Le infrastrutture ad alta tecnologia e non solo, che arrederanno le nuove smart city, nascono per il controllo e quindi per la repressione: tecnologie di guerra utilizzate in teatri di pace. Questo tipo di repressione che procede nonostante tutto e tutti, senza curarsi dei tempi della politica del governo, delle elezioni… procede a prescindere e trasforma la nostra realtà in un modo così profondo che a gran fatica si potrà arrestare qualche passaggio, probabilmente il tornare indietro forse neanche più è possibile.
Abbiamo il presente dove provare ad incidere, a diffondere pensieri critici e anche solo dei dubbi che possano insinuarsi e arrestare quel flusso di interattività che sempre più pervade il campo sociale e le relazione tra le persone.
Questo assetto repressivo sprigiona e impone il nuovo modo di protestare e di esprimere il proprio dissenso. Con l’esempio il potere dello Stato mette in chiaro come saranno da intendersi le proteste future. Da una parte abbiamo scioperi operai e proteste di studenti represse sotto i colpi dei manganelli o sommerse di restrizioni, dall’altra invece abbiamo gli scioperi del clima che mettono insieme tutti, nessuno escluso, che con la loro espressione vuota di contenuto e conflitto rappresentano un’ottima rappresentazione di una protesta senza protesta, cosa può essere di più congeniale per un tecnototalitarismo che non solo dà ampio spazio al dissenso, ma se ne fa portavoce con le migliori istanze contemporanee del momento: rilanciando in ecosostenibilità e nell’economia verde.

Da qualche giorno Anna, Silvia e Natascia prigioniere nel carcere dell’Aquila hanno interrotto il loro lungo sciopero della fame per ottenere la chiusura della sezione in cui sono state rinchiuse tra mille restrizioni, angherie e vigilate dai GOM (Gruppo Operativo Mobile della polizia penitenziaria). La chiusura non vi è stata e neanche il trasferimento in un altro carcere, in questo senso le disposizioni del Viminale trapelate sono state molto chiare: non concedergli niente o si darà il presupposto per l’innescarsi di altre lotte. Ma la lotta si è già innescata, sia all’esterno con numerosi momenti solidali, sia all’interno delle carceri con le battiture quotidiane nelle sezioni del 41bis all’Aquila, tutt’ora in corso, e con lo sciopero solidale della fame di altri compagni in altri carceri. La realtà si fa più complessa, il senso delle cose sembra perdersi, anche noi siamo parte di questo mondo e non siamo certo immuni dalle intossicazioni quotidiane che ammorbono il presente instupidito dagli smartphon. Ma spazi ancora persistono, a volte scompaiono, ma poi riappaiono, sta a noi saperli vedere, riconoscere, ricomporre e soprattutto mantenerli vivi. La repressione è come una febbre, dobbiamo essere in grado di misurarla e gestirla, ma non dobbiamo avere la pretesa di debellarla completamente, questo sarà possibile soltanto con il rovesciamento dell’attuale assetto di dominio a cui è imprescindibilmente legata, anzi ne è l’essenza stessa.

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[Tratto da www.resistenzealnanomondo.org].