Odio i politicanti
«Il solo espropriatore italo-americano su cui la letteratura anarchica
non ha nulla da dire è Cesare Stami, anarchico individualista selvaggio…»
Nunzio Pernicone
Carlo Tresca and the Sacco-Vanzetti Case
La prima volta che ci siamo imbattuti nella sua ombra è stato oltre una decina di anni fa. Per caso, per puro caso. Eravamo in una biblioteca anarchica e stavamo sfogliando una vecchia rivista, di quelle ingiallite dal tempo, pubblicata alla fine degli anni 20 da individualisti italiani emigrati negli Stati Uniti.
A un tratto l’occhio ci è caduto su un articolo commemorativo in cui si rendeva omaggio ad un anarchico italiano sepolto e dimenticato da tutti. Oltre a venire descritto come un uomo pieno di virtù e di vizi, dal pensiero provocatorio e iconoclasta, insofferente ad ogni morale (compresa quella cara a certi anarchici), veniva anche ricordato per essere stato un temibile fuorilegge, ammazzato alcuni anni prima in un agguato dalla polizia. Ecco perché, sospirava l’autore del testo, «la tacita congiura del silenzio e dell’oblio si è fatta attorno al suo nome».
Il suo nome era Cesare Stami.
Abbiamo sgranato gli occhi. Chi?! Cesare Stami? Mai sentito nominare! Da allora, ogni qual volta ne abbiamo avuto il tempo e l’occasione, ci siamo lanciati all’inseguimento della sua ombra nel tentativo di raggiungerla ed afferrarla, con la speranza di riuscire infine a vedere da vicino il suo vero volto. E più andavamo avanti con le nostre ricerche, più rimanevamo colpiti da quanto scoprivamo. Le poche informazioni sul suo conto presenti negli archivi di Stato, tutte antecedenti la sua partenza per gli Stati Uniti, in un certo senso contrastano con le poche informazioni ricavabili dai due soli omaggi postumi che gli vennero dedicati (il necrologio pubblicato alla sua morte su L’Adunata dei Refrattari e quello che aveva destato la nostra curiosità, apparso quattro anni dopo su Eresie).
Le tracce che Stami aveva lasciato dietro di sé erano scarse, confuse, contraddittorie, e svanivano tutte nel nulla. Anzi, peggio, portavano dritte in mezzo a vere e proprie tenebre, laddove la ragionevolezza consiglia di non addentrarsi. Ogni pista che seguivamo sbatteva contro un muro, composto da una sorta di oblio frammisto a sospetto e rancore, che circondava il suo nome.
Ne risultava che nessuno volesse davvero saperne di Cesare Stami, eroe per pochi, mostro per molti. La sua stessa morte ha un che di misterioso, tenuto conto che il governo italiano continuò per decenni a chiedere informazioni sul suo conto, sul suo possibile nascondiglio, come se egli non fosse affatto morto nell’imboscata tesa dalla polizia a lui ed ai suoi compagni, ma si fosse in qualche modo salvato. Sembra quasi la scena di un film, con il fuorilegge ferito che sparisce tra i flutti del fiume, viene dato per morto anche dai suoi amici, e invece… Invece eccolo lì, il suo giornale maledetto, La Rivolta degli Angeli, uscire con un ultimo numero due anni dopo la tragedia per ricordare i compagni caduti e far udire la voce sibillina dell’ombra.
Ma se Stami era morto in quel conflitto a fuoco nel maggio 1924, perché il governo italiano insisteva a cercarlo? Come è possibile che un paio di anni dopo, il 13 gennaio 1926, il prefetto di Ferrara avesse comunicato al ministero dell’Interno che Stami dimorava ancora a New York? E cosa pensare di quel dispaccio n. 955 del Consolato generale d’Italia di New York, datato 16 marzo 1934, in cui il console Crossardi riportava: «dagli accertamenti effettuati non è risultato che il nominato Stami Cesare sia qui deceduto durante l’anno 1924 e che tutte le indagini effettuate per cercare di ottenere qualche notizia sul suo conto hanno avuto finora esito negativo. Sembra che in questi ambienti anarchici nessuno si ricordi di lui»?
Svanito per sempre, con grande sollievo per tutti. Perché mai?
Di Cesare Stami si sa dunque molto poco. Si sa per certo che nacque a Ferrara nell’aprile del 1884, ma già sul giorno della nascita ci sono versioni contrastanti: il 25 o il 15? Abbandonato alla nascita, non si conoscono i suoi genitori (i quali si erano sbarazzati in fretta e furia del frutto del peccato). Non avendo nessuna vera famiglia, era cresciuto sulla strada dove acquisì «l’irrequietezza, la mobilità e l’agilità, lo spirito sarcastico che tutto scavalca con uno sberleffo o con una ghignata beffeggiatrice». Senza un’istruzione, era un semianalfabeta andato a scuola a malapena fino alla terza elementare. Ma la sua mancanza di cultura, come vedremo, non avrebbe costituito da parte sua motivo di rancore verso gli «intellettuali», quanto piuttosto una sfida continua con se stesso.
Privo di ogni affetto familiare, privo di istruzione, senza santi né padrini, trascorse la sua adolescenza con «solo la compagnia della miseria, della fame, della disperazione tetra. Sul solco aspramente lavorato covava il rancore di mille generazioni del rigagnolo, come lui nate dalla strada, abbandonate alla deriva, vilipese ed oltraggiate».
Bestia da soma predestinata, Stami era costretto a passare da un lavoro di fatica all’altro. Ma, essendo insofferente al basto, si dimostrava «poco assiduo al lavoro» nonché sobillatore.
Il 15 luglio 1904 viene condannato dal Tribunale di Ferrara a 25 giorni di detenzione per «attentato alla libertà del lavoro»: è la sua prima condanna. Quello stesso anno, ormai ventenne, viene preteso dall’esercito per svolgere il servizio di leva e spedito a Padova.
Ovviamente la disciplina militare non fa per lui e, a detta del compilatore questurino di turno, Stami «si fece vedere colà con molta assiduità frequentare i peggiori sovversivi».
Finisce sotto processo, perché compare in una fotografia che ritrae dei giovani socialisti antimilitaristi con la bandiera rossa spiegata in mano, mentre altri in divisa da soldato sono ritratti nell’atto di spezzare le armi e schiacciare i kepì. Per questo sfregio arrecato all’onore dell’esercito, Stami viene internato nella famigerata Compagnia di Disciplina di Peschiera, teatro di abusi ed orrori, da cui sarà liberato nel novembre 1907. È sotto le armi che impara a fatica a leggere e a scrivere, uno sforzo grazie al quale «la sua istintiva rivolta assunse consapevolezza e ragione di vita».
La prefettura di Padova riferisce che Stami è «un convinto e fanatico sovversivo non soltanto capace di fare propaganda, ma anche di ricorrere all’azione».
La sua intolleranza per ogni ordine, il suo odio per le uniformi, il suo disprezzo per le leggi e le morali, tutte queste sue caratteristiche lo potevano portare in un sola direzione: l’anarchismo, nella sua manifestazione più individualista.
«Ribelle nato, reietto e legato alla sorte degli umili, cercò e strinse amicizia coi libertari e divenne anarchico. Da qui la sua passione di libertà acquista coscienza e prosegue dritta nella via maestra della ribellione», riporta l’unico necrologio redatto alla sua scomparsa, quello dell’Adunata dei Refrattari.
Il suo nome sulla stampa anarchica appare per la prima volta nell’aprile 1908, sulla Protesta Umana di Milano, dove firma una violentissima lettera contro le Compagnie di Disciplina ed il militarismo. Nel 1910, dopo essersi trasferito a Milano, la testa calda che gli sbirri descrivono «privo di educazione e cultura… non collabora alla redazione di giornali mancando di capacità e così non è in grado di tenere conferenze», diventa gerente di un paio di periodici anarchici individualisti — prima del settimanale La Rivolta, poi della rivista Sciarpa nera — venendo più volte incriminato per alcuni articoli pubblicati.
A fine settembre, Stami lascia il suo domicilio di Pontelagoscuro diretto verso Milano, dove è richiesta la sua presenza al processo che lo vede imputato in qualità di responsabile editoriale. Ma, non potendo respirare la libertà all’interno di un tribunale, Stami allunga il suo viaggio, varca la frontiera e va a Marsiglia (dove viene subito segnalato come elemento «pericoloso»).
La giustizia italiana procede il suo corso e il 15 ottobre Stami viene condannato a sei mesi di detenzione e 75 lire di multa per apologia di reato (e il 18 novembre la Procura di Milano spicca un mandato di arresto nei suoi confronti). Il 4 febbraio 1911 un altro processo per apologia di reato si conclude con una nuova condanna: un anno di reclusione e 490 lire di multa (e il 18 marzo scatta un nuovo mandato di cattura). Sebbene ad aprile dello stesso anno un’amnistia faccia cadere le pendenze a suo carico, Stami rimane in Francia, dove conduce una vita randagia, fra mille difficoltà. A Marsiglia è ospite dell’anarchico pisano Raffaele Nerucci — il cui ristorante funge da punto di riferimento per tutti i fuoriusciti libertari italiani — con cui i rapporti diventeranno tesissimi. La miseria continua a contraddistinguere i suoi giorni, e per sopravvivere è costretto a fare i lavori più faticosi.
Sorpreso dal controllore del treno senza biglietto e fatto scendere ad Avignone, non riuscirà ad arrivare a Parigi all’appuntamento fissato con Pietro Bruzzi (l’anarchico sospettato di aver partecipato all’attentato al Diana, poi fucilato dai nazisti in quanto partigiano).
Il 30 agosto, a Marsiglia, gli informatori della polizia segnalano una vera e propria rissa tra bande di anarchici. Da una parte ci sono Cesare Stami, Adelmo Sardini e Alfredo Cancellieri; dall’altra Raffaele Nerucci, Mugnai e Bendinelli. L’aria è diventata irrespirabile, Stami lascia la Francia e rientra in Italia. Prima viene ricoverato a Genova in ospedale, poi a dicembre viene arrestato a Ronco Scrivia sul treno, nuovamente senza biglietto. Ritorna a vivere a Pontelagoscuro e la polizia continua a tenerlo sotto controllo, ma in modo meno serrato.
Stami lavora (nel settembre 1912 viene assunto da uno zuccherificio a Bondano come capofacchino), legge la stampa anarchica, frequenta sovversivi, ma non partecipa alla vita di movimento.
Nel bollente 1914 il periodo di quiete finisce. Prima viene segnalato per propaganda astensionista, poi perché, nel corso di una riunione chiusa indetta nello zuccherificio dove lavora, Stami esorta — in caso di sciopero — a compiere atti di sabotaggio che siano inesorabili e tali da fiaccare la resistenza padronale. L’11 giugno, nel bel mezzo della Settimana Rossa, viene denunciato a Pontelagoscuro per aver tenuto un comizio non autorizzato. Quattro giorni dopo invita gli operai dello zuccherificio ad una riunione, al fine di spronarli a scioperare. Il direttore dello stabilimento, venutone a conoscenza, minaccia gli operai e li ammonisce che chiuderà la fabbrica piuttosto che farlo entrare.
Il risultato è che gli operai ripudiano lo stesso Stami, il quale a fine giugno viene licenziato in tronco per scarso attaccamento al lavoro.
Lascia di nuovo il paese e torna in Francia, dove interviene in riunioni e conferenze per scagliarsi contro la borghesia e la guerra. Nel mese di novembre rientra in Italia, sempre sprovvisto di mezzi. Subisce una nuova condanna a 5 mesi di detenzione, questa volta per «istigazione a delinquere».
Nel 1915, sempre a Pontelagoscuro, trova lavoro ancora come facchino in un altro zuccherificio. Il Primo maggio fa uscire un numero unico intitolato Il Demolitore (non reperito). Nell’estate di quell’anno lascia per sempre l’Italia, probabilmente per sottrarsi all’arruolamento. Prima va in Svizzera, poi raggiunge Parigi. A fine agosto dell’anno successivo, il 1916, Stami si allontana da Parigi (dove lascia la sua compagna Rosa Bertolini) diretto a Bordeaux, per salpare in compagnia di Mario Maroncelli verso l’America.
Le tracce di Cesare Stami fiutate dai cani da caccia della polizia italiana si fermano là, su quel molo di Bordeaux. Degli otto anni che gli resteranno da vivere si sa poco, ma si può immaginare molto. E ciò che stupisce maggiormente è che il Cesare Stami che sbarca dall’altra parte dell’oceano, e fa capolino sulla stampa anarchica, appare assai diverso da quello descritto dalle italiche veline poliziesche. L’anarchico che solo un anno prima, a detta delle confidenze degli informatori, ha visto fallire il suo progetto di pubblicare un giornale per mancanza di collaborazione («essendo analfabeta la sua proposta non è stata presa sul serio»), negli ultimi mesi del 1916, fra settembre e dicembre, prende più volte la parola in comizi, tiene affollate conferenze e diventa redattore di una rivista. Non solo, ma diverrà anche un temibile rapinatore di banche assieme ad alcuni suoi compagni.
Sembra inverosimile, eppure è così. Il 30 settembre Stami partecipa, a New York, al Grande Comizio Internazionale per le vittime della reazione in America. Nella stessa città, il 15 ottobre, tiene una conferenza su “Gli anarchici e lo sciopero generale”. Il 25 ottobre prende parte ad un altro pubblico comizio di protesta, indetto dalla Federazione Anarchica Internazionale. Da New York si sposta nel Connecticut per altre due conferenze. L’11 novembre è a Bridgeport, dove parla sul tema “La guerra e le sue conseguenze” nel locale Circolo di Studi Sociali. Di questa conferenza rimane una testimonianza, che apparirà sul successivo numero di Cronaca Sovversiva, e che vale la pena riportare:
«Assisté un pubblico numerosissimo di lavoratori che il compagno nostro con parola vibrante e sincera riuscì ad interessare dal principio alla fine, cogliendo occasione per evocare i nostri martiri coperti dal disprezzo delle folle per le quali si sacrificarono incitandole con l’esempio alla riscossa. Frustò poi con una critica fine ed imparziale, uomini e partiti che dal ciclone guerresco si lasciarono travolgere. Cesare Stami è un operaio autentico, quasi deformato dal lavoro sfibrante, ma la sua conferenza semplice ed assennata, piena di sano entusiasmo, ha lasciato nei presenti una profonda impressione. Noi confidiamo che tale simpatia non abbia a svanire».
Il giorno dopo, il 12 novembre, Stami è a New Haven a commemorare i martiri di Chicago al Dreamland Theatre. Rientrato a New York, il 29 novembre tiene una conferenza sul tema “La schiavitù della donna di fronte all’attuale legge sociale” nei locali del gruppo Bresci.
Chissà, forse è proprio in virtù di questa «profonda impressione» e «simpatia» che Stami riusciva subito a riscuotere fra i compagni, che il suo nominativo figurava come distributore a cui richiedere il nuovo periodico anarchico lanciato l’1 dicembre 1916, quel L’Uomo Nuovo al cui interno si può leggere che «l’ignoranza è la massima e la peggiore delle povertà».
Il nome di Stami non figurerà mai all’interno dei due numeri della rivista, dove invece si possono incontrare un paio di pseudonimi che ritorneranno alcuni anni dopo su La Rivolta degli Angeli.
Egli firma invece alcuni testi apparsi su Cronaca Sovversiva, il settimanale di Luigi Galleani, con cui collaborerà fino alla fine e da alcuni di questi articoli si intuisce che era al centro di polemiche con altri anarchici. Non sappiamo se anche lui sia stato coinvolto nelle indagini degli agenti federali contro i collaboratori di Cronaca Sovversiva, se anche su di lui pendesse la minaccia della deportazione o cos’altro. Ciò che sappiamo di certo è che smise di usare il suo cognome e che proprio lui avrebbe dato vita a L’Adunata dei Refrattari, il giornale che prese il posto del settimanale di Galleani e che uscì per mezzo secolo. Infatti, in un articolo apparso il 23 aprile 1932, Costantino Zonchello dedica un articolo (a firma: “Gli iniziatori primi”) ai primi dieci anni di esistenza dell’Adunata in cui svela chi fu promotore del settimanale: «Chi avrebbe pensato il 17 aprile del 1922, nel lanciare il primo numero della pubblicazione, che l’Adunata avrebbe vissuto vegeta e rigogliosa per dieci anni? Non certo quell’anima dannata di Cesare Stami, che ad una opera buona di propaganda scocciava il prossimo circostante e rivoltava mezzo mondo e non dava pace a nessuno sino a che il suo proposito generoso non si traduceva in realtà».
Stami scriveva sull’Adunata usando lo pseudonimo di Cesare Protesta, ma la sua collaborazione sarebbe durata ben poco poiché i rapporti con la redazione del giornale si erano presto fatti tesi. Un anno dopo, Stami avrebbe pubblicato il primo numero di un giornale dal cipiglio davvero sfrontato. Il suo titolo era La Rivolta degli Angeli ed era il “Giornale degl’anormali” che «esce quando piace a noi», il cui gerente responsabile era «la ghenga del fil di ferro», avvertiva i «signori lettori che noi si scrive prima di tutto come ci fa comodo, e in secondo luogo come ci riesce, noi non siamo né maestri, né filosofastri», e precisava di poter contare su «un fondo permanente di 3000 dollari».
Va da sé che molti testi erano polemici nei confronti di tutti, dai redattori dell’Adunata al solito Carlo Tresca. Quanto al motivo di tanto furore, rimane più o meno sconosciuto. Ma facilmente ipotizzabile. Sarebbe semplice e comodo attribuire tutto al carattere provocatore di Stami, alla sua mancanza di tatto, ma temiamo che il vero movente sia un altro, assai meno personale e ben più delicato: il caso Sacco e Vanzetti. È infatti a questo unico proposito che il nome di Stami viene ricordato con imbarazzo dagli storici che si sono occupati degli anarchici italiani di quegli anni. Paul Avrich, nel suo saggio Sacco and Vanzetti’s Revenge, riporta un incontro tenutosi a Springfield nel 1924 in cui la figura chiave «fu Cesare Stami, un ultramilitante che partecipava ad attività illegali. Pubblicava un periodico clandestino chiamato La Rivolta degli Angeli (come il titolo di un libro di Anatole France). Il sottotitolo del periodico di Stami era “Giornale degli Anormali”. Oltre alla pubblicazione del periodico, Stami e la sua banda di espropriatori fecero rapine in Pennsylvania, Ohio e West Virginia, così come in una banca di Detroit. Ora egli domandava 5.000 dollari per liberare Sacco e Vanzetti (informazione data all’autore da un anarchico che era presente all’incontro). Ma il gruppo di Springfield non aveva il denaro, e l’accordo saltò. L’anno successivo Stami rapinò un treno in Pennsylvania che stava trasportando un carico d’oro. Ma uno dei suoi scagnozzi si rivelò essere un informatore ed avvertì la polizia. Il treno venne circondato da poliziotti e Stami venne ucciso in una sparatoria, assieme a molti suoi uomini».
L’anarchico che diede una simile informazione ad Avrich era Bartolomeo Provo, la cui testimonianza originale compare in Anarchist Voices: An Oral History of Anarchism in America: «Uno o due anni dopo ci fu un incontro a Springfield per discutere della liberazione di Sacco e Vanzetti. L’idea era di liberarli mentre erano sul treno che li portava dalla prigione al tribunale, quando erano sorvegliati solo da due ispettori. Cesare Stami e la sua banda erano presenti. Volevano cinquemila dollari per fare il lavoro. Avrebbero dovuto farlo, sai, ma noi non avevamo i cinquemila dollari. Stami era coinvolto in molte rapine. Non si sarebbe fermato davanti a niente. Aveva rapinato una banca a Detroit — i suoi uomini sparavano dappertutto. Questo accadde verso il 1924. Più tardi quell’anno rapinarono un treno in Pennsylvania che stava trasportando un carico d’oro. Ma uno degli uomini era un informatore e avvisò la polizia. Il treno venne circondato da ispettori e Stami venne ucciso con altri tre o quattro. Me lo hanno detto ad Old Forge, una città mineraria ad est della Pennsylvania dove viveva e lavorava un certo numero di Galleanisti. Io non sono mai stato d’accordo con quei metodi. Loro dicevano “siamo sfruttati, quindi riprendiamo”, ma la maggior parte di ciò che rubavano era per se stessi e non per l’Ideale».
Se fosse vero quanto riportato da Provo, si capirebbe bene il motivo per cui il nome di Stami è stato sepolto e dimenticato per sempre dagli anarchici. Chiedere soldi per far evadere due compagni condannati a morte? Sarebbe una vera e propria infamia. Ma avendo letto gli articoli su Sacco e Vanzetti apparsi su La Rivolta degli Angeli, ci permettiamo di non credere affatto a una simile testimonianza — poco importa se frutto di ricordi confusi dal tempo o di un rancore ancora vivo — e di ritenere le parole di Provo del tutto inattendibili (d’altronde, a suo dire, Vanzetti avrebbe commesso un attentato fallito a causa di un cane che aveva spento la miccia della bomba urinandoci sopra, rivelazione che l’anarchico piemontese avrebbe fatto a lui solo!?!).
In realtà era proprio Stami a reclamare l’azione diretta audace ed energica per liberare Sacco e Vanzetti, fustigando in più di un’occasione quegli anarchici che si affidavano agli avvocati e alle petizioni. Inoltre, perché mai avrebbe dovuto pretendere del denaro, lui che in quel periodo non ne era certo privo, per fare ciò che sosteneva a voce alta fosse necessario? Quanto al fatto che egli allungasse le mani sulle casseforti delle banche solo per arricchirsi, non è certo ciò che veniva sostenuto all’epoca e pubblicamente — e non confidato decenni dopo ad uno storico — sia da L’Adunata dei Refrattari («Bandito; non per sé. Troppo aveva provato l’afflizione della miseria e lo stimolo del bisogno, perché non ne capisse i roncigliamenti convulsi negli altri. Dove passò lasciò tra le famiglie proletarie bisognose, qualunque il credo e la passione, un coro di benedizioni per l’uomo che toglieva al satrapo avido ed avaro per ridare alla gente umile del lavoro») che da Eresie («Stami, il quale ebbe alle calcagna la polizia di parecchi stati, che ad ogni suo atto d’espropriazione si vedeva descritto con negli occhi un’espressione di ferocia sgominatrice, delle molte decine di migliaia di dollari sottratti all’ingordigia di Creso non abbia mai ritenuto per sé più che il necessario per tentare l’altro colpo e della sua opera d’impenitente bandito la sua famiglia sia quella che meno ne abbia beneficiato, mentre in quanti l’avvicinavano era noto il coro di benedizioni che si elevavano al suo indirizzo»).
Due anni dopo la sua morte sarebbe uscito un ultimo numero di La Rivolta degli Angeli, datato 19 maggio 1926, verosimilmente a cura di Angiolina Algeri: «usciamo ancora una volta per ricordare con passione coloro che furono obliati da tutti, per poi morire senza più resuscitare. Era nostro dovere sorgere ancora una volta perché il nostro spirito irrequieto non poteva starsene in pace… ci sono rimaste troppe cose da dire… troppe osservazioni da fare… quindi squarciamo il velo dell’aldilà e ripigliamo la penna per agitarla come pare e piace a noi, e con questo numero unico diamo a Cesare quel che è di Cesare».
Tra le cose da dire, anche un ultimo omaggio a «Cesare Protesta, Gianni, Terzo, Gabriele, Zara… furono ignoti, sbucati dall’ignoto e scaraventati con violenza nell’ignoto. Vissero giorno per giorno col frutto della loro audacia. La loro vita fu un succedersi di burrasche che li squassarono. Vissero le loro idee come dei passionali e la loro passione scavò solchi profondi e sanguinosi sul loro scabroso cammino. Furono un pugno di reprobi in eterna rivolta pagando col sangue e la vita».
Negli anni 50 Ugo Fedeli descriverà così Stami ed i suoi ultimi anni trascorsi negli Stati Uniti: «Temperamento esuberante, trovò impossibile adattarsi alla clandestinità, a cui le leggi anti-anarchiche del periodo bellico condannavano i militanti, accettò la guerra che lo stato dichiarava senza tregua e in questa cadde combattendo, dopo alcuni anni di esistenza illegale».
Nonostante le nostre ricerche, rese difficili dalla mancanza di indizi più precisi, non siamo riusciti a trovare altro sul conto di Cesare Stami e dei suoi compagni, di cui abbiamo qui raccolto alcuni testi. Che gli amanti delle grandi analisi, dei pensieri profondi e dello stile impeccabile ne stiano alla larga. Nelle pagine che seguono non troveranno nulla di tutto ciò. Ma solo l’urlo di disperazione e rabbia di un vero dannato della terra alla conquista della sua individualità, a dispetto di tutto e tutti.
Cesare Stami
ODIO I POLITICANTI
pp. 104, 5 euro
(3 euro dalle 5 copie)
Gratis
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grotesk[at]libero.it
[Tratto da finimondo.org].